22.7.10

30/04/10 mart: Partenza da Bologna - 31/04/10 merc: Arrivo ad aeroporto Narita - Tokyo.

Partenza per Tokyo martedì 30 Marzo, arrivo mattina del 31, volo composto da breve tratto Bologna - Roma, poi tratto serio Roma - Tokyo, con compagnia Alitalia, che per me abituata a Ryair e affini è sembrata semplicemente divina, anche se ovviamente essendo comunque “italiana” non tutti gli schermini dei sedili andavano e i telecomandini erano piuttosto scassati.
Per combattere il futuro fuso orario, cerco di dormire il più possibile (nonostante la poltrona vibramassagiante dovuta al passeggero jappo dietro di me che non faceva altro che tirare pugni-calci al sedile.. si può considerare fortunato di avermi incontrata al viaggio di andata, felice e spensierata, se era al viaggio di ritorno..). Tra dormite e film arriviamo la mattina, e già le differenze si notano, non solo dagli ideogrammi sui cartelli, ma anche dall’incredibile efficienza jappa.
Per entrare in Japponia, devi compilare tutte una serie di cartacce (dichiaro che non sono un criminale, dichiaro che non porto con me armi/droga..), è stupendo il fatto che nei banchetti adibiti per compilare i moduli, trovi penne, occhiali da vista di diverse gradazioni, gel igienizzante (che troveremo poi praticamente ovunque), istruzioni in tutte le lingue, compreso qualche strano dialetto.. insomma non hai scuse per non compilare i fogli.
Il personale dell’aeroporto, corre, lavora, e ci fa assaggiare già l’inglese-jappo (di chi lo parla meglio) con tutte le vocali ultra allungate: quindi ci ritroviamo un
“Yu niiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii” (trad. You need)
“Ten Yuuuuuuuuuuuu” (trad. Thank you)
una signora addetta allo smistamento fa in modo che una coda disordinata e caotica si trasformi in una efficientissima fila, ma soprattutto, capiamo un altro tratto del lavoratore jappo: qualunque sia la mansione, per quanto brutta e umile, la eseguirà mettendocela tutta, e comportandosi come se stesse facendo la cosa più bella della sua vita.
Affrontata la macchinetta di lettura ottica, impronte digitali, recuperati bagagli, prendiamo il treno Kensei per Tokyo - Ueno, e dai finestrini assistiamo ad un leggero cambiamento case di periferia - metropoli, ma leggero proprio perché anche la periferia è piuttosto metropolizzata. Scesi alla stazione di Ueno, decidiamo di raggiungere il Capsule Hotel ad Asakusa, sopra al fiume Sumida a piedi, e fidandoci di uno sguardo disattento alla mappa della guida, facciamo il primo grosso errore.. le distanze a Tokyo, non sono quello che sembrano. Sono sempre almeno 4 volte in più di quelli che pensavi. Ebbene sì, Tokyo è immensa, e 2 quartieri che sulla carta ti sembrano relativamente vicini (vedi Ueno - Asakusa), sicuramente per passare da uno all’altro ti ci vuole quasi un’ora a piedi.
Quindi la nostra scelta di portare a mano le valige per l’equivalente di un tratto di dieci minuti di metropolitana non è stata proprio felice, in ogni caso, arriviamo, ci posizioniamo sul ponte e inauguriamo la nostra prima birra in lattina (presa da uno dei numerosissimi distributori posti praticamente ovunque e che nessuno si sogna di vandalizzare).
Birra Sapporo con in sfondo il corno d’oro dell’Asahi Super Dry Hall, il fiume Sumida che bagna edifici ipertecnologici e palafitte legnose, oltre che portare lunghe barche di legno in stile jappo.
Sul ponte passa un concentrato di folla che ci accompagnerà per le prossime 2 settimane:
Salarymen (=impiegati), studenti, vecchini compressi, ragazze truccatissime con gonne cortissime e gambe stortissime, senza calze, massimo calzettoni (le più pudiche portano i pantaloncini). Riguardo a quest’ultimi 2, posso affermare (come riconfermerò in seguito) che i mangaka non hanno inventato assolutamente nulla: i vecchini sono davvero come li disegnano, molto bassi, gobbi, davvero sembrano compressi, e le gonnine delle studentesse volanti, esistono davvero, oltre che loro le portano davvero corte, aggiungiamo che il clima giapponese è piuttosto repentino, e che il vento improvviso (e gelido) appare veramente e sembra fatto apposta per tirare su gonne.
Facciamo il check in al Capsule Hotel, affrontando per il pagamento un distributore e delle macchine cattura scarpe. Ci fermeremo solo una notte, in cui dormirò bene, la capsula in fondo non era così caustrofobica; stesa dal futon, col braccio teso di fronte, sfioravo il soffitto della capsula con la punta delle dita. Il più è che in un corridoio stretto, vi erano almeno un 30 capsule, e ognuna era separata da una sottile tendina.. fortuna che nessuno russava (o che semplicemente mi son addormentata prima). Non può dire la stessa Alberto, uno dei miei compagni di viaggio, a lui il Capsule non è piaciuto tanto (per approfondimenti sul perché chiedete direttamente a lui). Sempre qui al capsula la sera affronto il mio primo e unico bagno in comune, fortunatamente al momento del lavaggio ero l’unica presente. Anche perché le docce sono basse, loro si lavano da seduti su sgabelli, ma io per quanto stanca preferivo la posizione statuaria.
Tornando indietro nel tempo al dopo check in, scaricate le valigie, è primo pomeriggio, decidiamo di esplorare la zona vicina, Asakusa, e vediamo già cose che valevano il viaggio fino a qui, il Kaminarimon, ovvero la maestosa porta del tuono con al centro un’enorme lanterna rossa che introduce al tempio Senso-Ji purtroppo chiuso esternamente per restauri. Comunque intorno a noi tavolette di legno, nastri di preghiere legati, incensiere dove purificarsi, la prima di una lunga serie di Pagode, e tanti turisti jappi, probabilmente a Tokyo per la fioritura dei ciliegi. Percorriamo il Nakamise-Dori, ovvero una viuzza piena di negozietti tipici / souvenir dove gustiamo il primo pasto tipicamente jappo, uno spiedino di mochi (dolcetti di pasta gommosa molto buoni).
Il capsule hotel è relativamente vicino all’Asahi Sky Room, una birreria al 22 piano di un palazzo da cui si gode un ottima vista. In quel pub, coi tavolini che danno verso le vetrate, ho capito che ero in un sogno fantascientifico. I 3 orizzonti che avevo davanti erano tutti e 3, a perdita d’occhio, grattacieli e luci. No campagna, no spazi vuoti, solo grattacieli, strade e luci fino alla fine. Ero senza parole. Ho rivisto questa stessa vista, con città a perdita d’occhio anche di giorno, e su torri più alte, ma quella vista, la prima che mi ha fatto realizzare veramente dov’ero, mi è entrata dentro. Quando mi stendo a letto, tutt’ora chiudo gli occhi e rivedo quella vista. Tokyo mi riappare, la sogno, la penso, come non mi era mai capitato prima. E pensare che le metropoli, anzi come Agnese mi ha giustamente corretto, le megalopoli, non mi piacciono nemmeno.

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