22.7.10

07/04/10 Merc: Mercato pesce, Palazzo imperiale (tutto furchè i giardini).

Levataccia mattiniera, consci che nemmeno il caffè, o meglio il piscio di uomo che ha bevuto caffè in lattina del Combini può migliorare la nostra situazione, proseguiamo imperterriti verso il Mercato del pesce.
Arriviamo là alle 6.00, per scoprire che potevamo andar anche con calma, dato che essendo bassa stagione peschiera, il mercato aveva già chiuso. Infatti non ci resta che girare un po’ tra i commercianti che stanno mettendo via e tentare di immaginare che casino poteva essere. Almeno ho carpito informazioni per il prossimo viaggio, ovvero, la famosa asta del Tonno e una parte di mercato, sono chiuse ai turisti, non dimentichiamo che non è un’attrazione turistica, ma un luogo di lavoro. Comunque all’ingresso ci sono opuscoli con mappe ed è persino possibile prenotare una guida, tutto perché effettivamente è il mercato di pesce più grande del mondo, ergo è immenso.
Per consolarci della levataccia vana, decidiamo almeno (e aggiungerei nonostante fossero le 6 mattina) di fermarci a mangiare in uno dei piccoli ristoranti posti a sinistra appena entrati nel mercato. Entriamo in uno che ha i prezzi che riusciamo a leggere, ed è anche piuttosto attrezzato per i turisti, ci danno persino un laser per indicare il piatto che vogliamo. Ne scegliamo uno a base di salmone, una ciotola di riso con pezzi di pesce crudo sopra, una vera delizia. Un gentile signore accanto a noi si offre anche di spiegarci come va mangiato, ovvero prendendo una ciotolina di salsa di soia, sciogliendoci la wasabi che ritroviamo nel piatto come decorazione, mescolare il tutto e versarlo sopra al pesce della ciotola. Vuoi perché abbiamo seguito il consiglio, vuoi perché il pesce era davvero fresco, è stato il piatto più buono che abbia mangiato in Giappone. Tutto si scioglieva sulla lingua con una vera esplosione di sapori. Meglio non ripensarci.
Premesso che in Japponia abbiamo avuto 2 maledizioni principali: giardino imperiale e monte Fuji. Poi capirete perché.
Comunque ci fermiamo al parco Hibiya, proprio accanto al complesso del Palazzo imperaile e aspettiamo che ci raggiunga il terzo moschiettere Phil e il programma è appunto andare a vedere i giardini imperiali. Mentre godiamo l’antitesi di incrocio di stradoni dietro e parco con ciliegi, laghetto, natura libera davanti (il bello dei parchi jappi è appunto che lasciano quell’entropia tipica della natura proprio per farli sembrare più veri, e il risultato, oltre ad essere più belli, è che sono molto più rilassanti) notiamo un vecchino - custode del parco che spazza le foglie con immensa meticolosità. La sua meticolosità è tale, che nonostante quasi tutti gli alberi stiano perdendo le foglie, quindi dopo mezz’ora il suo operato manco verrà notato, comunque lui dopo aver spazzato tutto il vialetto, lo riguarda, poi nota una foglia appena caduta, le si avvicina, la raccoglie e la butta via. Sottolineo che girate le spalle per fare altro altre foglie ovviamente cadevano, però lui quella fogliolina l’ha raccolta comunque. L’oscar della meticolosità, per noi, normale routine per i jappi. Attraversiamo la strada, salutiamo i jappi dell’autobus “Sola mio” e iniziamo a camminare attorno alle mura dell’enorme complesso del palazzo imperiale. La morale è che gira gira, arriviamo all’entrata dei giardini che piove, e capirai che meraviglia visitare dei giardini se piove. Decidiamo di passare e questo è l’inizio della maledizione, ai giardini non riusciremo ad andarci più. Comunque il solo girarci attorno è pazzesco, ti fa capire l’immensità in cui abita l’imperatore.
Se piove cosa puoi fare? Rifugiarti a AkiaVara ed entrare nel mega store dell’Elettronica, una specie di Comet, però di 7 piani, e la differenza principale è che mentre in Italia è impossibile trovare dei commessi, come ti giri ti giri se hai bisogno c’è sempre una caccia al commesso, in Giappone, nel proprio campo positivo, minimo avevi 4 commessi, ti danno ovviamente il “benvenuto commerciale” in giapponese e pendono dalle tue labbra aspettando che tu abbia bisogno di qualcosa. Commozione e commozione. Oltre che stupore per quanta roba poteva esserci là dentro, per i prezzi, vagamente più bassi per molte cose, per il settore dei loro cellulari (causa la loro scrittura hanno bisogno di schermi immensi, e dei nostri cellulari se ne fan poco).. insomma era una cosa da visitare. Dopo aver gironzolato un altro po’ (siamo ovviamente ripassati dal sexy shop), decidiamo di tornare a casa ad un’ora decente perché il giorno dopo ci aspetta la gita a Kyoto, ed è meglio essere in forma. Però prima di coricarci è necessario fare un giro in lavanderia, star 2 settimane fuori senza strariempire una valigia è impossibile se non si fa un bucato. Sotto indicazioni del nostro amico e gestore della ryokan Satoshi raggiungiamo una lavanderia a gettoni posta in un vicolo fatto a chiocciola (per la serie o sai dov’è o non ci vai) vicina ad un bagno pubblico. Le macchine sono un po’ scassate ma sembra facciamo il loro dovere, a parte che è tutto scritto in kanji. Non abbiamo il detersivo e coi gettoni prendiamo quello che pensiamo possa essere detersivo ma in realtà non lo sappiamo perché vengono giù dal distributore 3 scatole con lo stesso disegno ma con colori diversi. Deduciamo che il blu possa essere il detersivo e che il rosa l’ammorbidente ma non ci fidiamo molto. Un jappo, giovane, entra e proviamo a chiedergli informazioni. In un bizzarro dialogo gesticolato jappo-italiano-inglese? Forse capiamo come funziona il tutto, l’unica cosa che non azzecchiamo è l’ammorbidente ma poco male. Anche perché mentre il povero jappino spiegava mi ero dimenticata che sotto la felpa non avevo nulla a parte il reggiseno (tutte le mie magliette si stavano lavando) e presa dal caldo dello stanzino ho praticamente fatto uno micro-spogliarello non voluto (povero jappo, già di tette non ne vedono mai).

Etichette: , , , , , , , ,