22.7.10

02/04/10 ven: quartieri Harajuku e Akihabara

Mattinata in Harajuku, arriviamo in stazione della metro che è accanto al ponte che porta a Meiji-Jingu, zona in cui torneremo sia per visitare il parco sia perché nei weekend il ponte è frequentato dagli adepti del cosplay. In pratica usciti dalla metro si va verso il ponte e si attraversa la strada tramite un soprapassaggio. Lo shopping di vestiario più estremo e pazzo è concentrato tutto in una via di Harajuku, dove i negozi si estendono dai piani interrati al quarto piano. Gothic Lolite, ragazze caramella, punk, rockabilly, cosplayer, vengono tutti qua a fare i loro acquisti. Le commesse sono di pan di zucchero da quanto sono belle, gentili ed estremamente curate e truccate nei minimi particolari. Da brava donna non potevo farmi mancare l’acquisto di una felpa-gatta, una borsa-pipistrello e un ciondolo-gabbietta-canarino. I prezzi non sono stracciati, ma se si calcola quanto la stessa cosa la pagheremmo in Italia, ebbene sì, sono più bassi.
Ormai la giornata è chiaramente votata allo shopping, quindi ci buttiamo anche sul quartiere dell’elettronica, Akihabara, successivamente soprannominato AkiaVara, a causa dello sexy shop a 7 piani che si incontra poco dopo esser usciti dalla metropolitana. Non possiamo non entrare in un posto in cui 2 piani sono votati ai DVD, 2 piani all’oggettistica, 1 piano alla lingerie, 1 piano alle divise e 1 piano ai cosplay succinti. Pazzesco! In particolare siamo rimasti colpiti da diverse cose tra cui: la macchina spara seghe.. ebbene sì, un meccanismo composto da una mano di plastica regolabile che vi lascio immaginare qual è il suo compito. Non era già abbastanza trash la macchina in sé, era straordinario come fosse allegato anche un video dimostrativo interpretato da una modella davvero poco guardabile, e un uomo normalissimo vestito da impiegato. Fighe di plastica, che per far vedere com’erano composte all’interno vi era esposta una simpatica sezione (che somigliava a della trippa cruda.. bleah). Video porno in cui le donne fanno facce sofferenti durante l’atto, e si lamentano quasi piangendo (???). Poi le centinaia di divise (non ho resistito a provarmi quella da poliziotta giapponese, il problema erano i fianchi, impossibili farli entrare in una taglia unica giappa!), e i cosplay succinti, lo sconto del 30% sull’acquisto se permettevi che ti facessero una foto indossandolo nel camerino di prova.. e tutti gli acquirenti giappi (per lo più salarymen) serissimi di fronte a qualsiasi cosa, anche quella (ai nostri occhi) più ridicola. Ovviamente erano presenti i classiconi come le buste a peso d’oro con la biancheria usata delle studentesse (allegata in ogni busta la foto della -in teoria- proprietaria degli indumenti intimi), e anche a prezzi più bassi, buste con biancheria mista senza foto.Usciamo da queste follie lasciando come segno del nostro passaggio un vibratore di prova che non riuscivamo a spegnere nelle mensole dell’esposizione (e che quindi continuava ad emettere un VRRRRR a mo’ di cellulare che vibra sul tavolo.. ovviamente siamo usciti fischiettando mentre i jappi vicini si guardavano attorno domandandosi da dove provenisse il rumore). Il nostro cammino prosegue tra i negozi duty free, negozi a tema fumetto, e soprattutto per un po’ rimaniamo inghiottiti dal vortice sala giochi. Come la maggior parte delle cose in generale a Tokyo, sono a più piani, ai primi piani di solito ci sono le macchine con cui tramite forcone devi prendere i giochi-peluche-miniature-coperte-gadgets, che mentre in Italia di solito è impossibile prendere qualcosa, dato che le morse sono lente, le macchine non rispondono bene, in Giappone è effettivamente difficile, ma tranquillamente possibile, infatti, al primo tentativo, ho provato, più per curiosità che credendoci, a prendere un micione peluche gigante nero, e ce l’ho fatta! Anzi al momento in cui è sceso è arrivata una commessa della sala giochi (in divisa, come qualsiasi commesso di qualsiasi cosa jappa) con un cembalo tra le mani cantando una canzoncina, e tutti i jappi attorno a me hanno applaudito le mani! Nel mentre che non sapevo cosa fare per l’imbarazzo di questa mini festicciola la commessa ha preso il micio e l’ha messo in una busta di plastica per consegnarmelo. Agli altri piani non hanno giochi particolarmente più avanti dei nostri a livello di cabine con pistole ecc., anche se ovviamente ne hanno tantissimi, tra cui, simpatico quello dei tamburi giapponesi a cui ho ovviamente giocato! Non devo nemmeno dirvi che i jappi sono mostruosi a giocare, fanno i livelli più alti con una precisione pazzesca.
Concludiamo questa giornata con il Karaoke, facilmente riconoscibili dalle insegne blu e dagli interni in stucco lucido bianco con altorilievi di sculture che ricordano arte greca-romana (credo sia una catena, a Tokyo ne ho visti tantissimi così)!
In Giappone capisci quali sono i posti in cui è gradita la tua presenza di straniero se hanno o meno le scritte in caratteri romani. I Karaoke fanno parte dei posti in cui non sono presenti scritte in carattere romani a parte i prezzi (ma non capisci le fasce orarie, perché a seconda dell’orario in cui vai ci sono notevoli differenze di prezzo, se vai ad esempio di sera, come noi, paghi parecchio), e ancora meglio, tra i cassieri è praticamente impossibile capirsi in inglese.
Fortuna che tra di noi c’era Elisa, studentessa di giapponese che in più di una situazione si è riuscita a districare con ottimi risultati, così riusciamo a carpire i prezzi e prenotare una sala, che si rivela una piccola stanza in cui a malapena riusciamo a stare tutti. Per arrivare utilizziamo l’ascensore ipertecnologico che suona nel momento in cui si oltrepassa il limite di peso. Facciamo 2 conti, e per quanto noi possiamo barare sui nostri pesi, e sbagliare a dare i pesi ai jappi, comunque l’ascensore è un po’ troppo sensibile, quindi deduciamo che o è tarato male, oppure i jappi in realtà pesano parecchio, magari sono compressi anche dentro. Una volta nello stanzino pieno di luci colorate e con un enorme tv, c’è il problema di far funzionare il telecomando-plancia spaziale. Anche qui Elisa ci ha salvati cercando un jappo che potesse insegnarci l’utilizzo, e qui avviene la scena madre del Karaoke: Vanessa prende in mano il microfono, già collegato all’impianto, quindi con un volume stratosferico, dichiara “Ho sempre voluto farlo: BUUUURRRPPPP (=onomatopea di un’enorme rutto)”, ovviamente, proprio in quell’esatto momento, un jappo modello salarymen, si affaccia nella stanza, specifico che la porta era accanto alle casse, quindi il suo orecchio sinistro è stato letteralmente investito da una gigante onda sonora ruttosa, e tutto quello che ha potuto fare è stata un’espressione pari pari alle faccine dei manga di massimo stupore/scandalo/compatimento, insomma solo la sua faccia valeva il carissimo biglietto del Karaoke. Passiamo 10 minuti a rotolarci dal ridere mentre Elisa comprende il funzionamento del computerino, e iniziamo: Phil ci regala un classicone, mentre io non resisto alla Starway to Heaven, e commetto parecchi errori: non aver considerato che la canzone è tradotta in base midi (assoli compresi) che è quasi da accapponare la pelle, tutte le canzoni sono alzate di tonalità (ma i jappi hanno le voci più acute?), il testo non è corretto (ma da dove l’avran preso???), e l’ultimo e fatale errore, chiedere aiuto buttandosi in un duetto con Alberto, che oltre a non ricordarsela, bè, poi non si riusciva manco a finire le frasi per il ridere. Scappiamo via mentre gli altri ancora cantano, sempre a causa degli orari della metro. Finiamo col classico Birra Combini - Futon.

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